Dalla strada al museo d’arte
Un’ontologia della forma parte dalla decisione di mantenere (e non risolvere, né negare) la tensione provocata da unità in continue metamorfosi.
Come possiamo ammettere che ogni strada univoca che prendiamo è una decisione e come nella decisione appaia – nel tempo e per un lasso limitato di tempo – la realtà del mondo?
Queste tre ipotesi mi giungono rapide come un colpo di flash d’innanzi a questa installazione. Questa è l’opera che ho apprezzato di più in tutta N.Y. E’ la più intensa, rappresenta, per chi vuole comprendere, tutto l’essere americano.
Perché’ è dentro la solitudine che c’è tutto il gradiente dell’essere americano, sia nella felicità, nel vivere la felicità, sia nella disperazione. Una solitudine soggettivizzata. E’ solitudine dello stare e dell’essere. Affatto ansiogena o depressiva.
Naturalmente vi sono molteplici stratificazioni significanti della solitudine americana difficili da comprendere ma che si sono fatte corpo. La mancata “rivoluzione”. Il proletariato (che fugge da se stesso) irrisolto e in eterna attesa. Il venire da altro.
L’obbligarsi e l’obbligatorietà in sensazione, come senso di solidarietà in sogno, come scoria, stadio pre-civile che induce, nel paradosso, il super civismo americano in forma che contiene che misura tutti i confini (il “siamo americani!”). Che indica in cellule, in insiemi il procedimento di stare in solitudine, gioco di misure asservite ad un'unica funzione tensiva.
Erroneamente è solitudine confusa con il gradiente etnico, con la solitudine necessità della diversità. Diversità invece che è il “salvifico”, il collante giocoso (infantile, l’essere nell’idea dell’infanzia) che si proietta con la domanda (il desiderio). Come sempre, la, le questioni si formano e accadono, si ri-formano e si ri-farebbero forma (l’incessante) [Whitman] .






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