I sensi infiniti
L’Io ha bisogno di molteplici disgregazioni, queste ne rappresentano il fondo costituente. Il viso è una rappresentazione policromica di un fondo vivificato, perturbato da un insieme di insistenze organiche. Così non vi è una vera e propria rappresentazione del vuoto, del bianco totale, dell’infinito indecifrabile che è insondabile alla vista. Lo stacco dell’inevitabile rappresentato come fato, concetto astratto di assoluto. (sarebbe altrimenti una indifferenziazione come atto mostruoso di indecifrabile idealità)
L’Io si divide per moltiplicazione, si molecolarizza in una ridondanza che non è mai fantasma indeterminato, ma rappresentazione immanente. Il caos è la rappresentazione del viceversa in formazione. Il principio di Dio è il principio di Io sono indissolubili. Senza Io non vi è Dio . Il concetto di essenza è come ovvio, categoria di sostanza senza intervalli. La differenza è inevitabilmente l’oblio della rappresentazione dell’Io. Oppure l’accettazione del collettivo, come è collettivo nella rappresentazione il vestito di Arlecchino: archetipo del collettivo indifferenziato. Le toppe bianche e nere, il pieno e vuoto in una determinazione collettiva che si rappresenta da subito collettivo indifferenziato in una rappresentazione del collettivo differenziato (principio dell’Io, principio di contraddizione). Arlecchino è linguaggio del corpo e il corpo è sempre collettivo indifferenziato. Piano che si va avanti con la differenziazione, nel caos dell’Io indifferenziato, la sostanza assume il linguaggio dell’Io e la frantumazione e proiettata fuori. Nasce la visicità e il linguaggio è ridondanza.
Il quadro famoso dietro i due corpi è di Dali’, -Il viso del grande masturbatore-








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