Isole (Seychelles)
Mai forma sentimentale, non sono un sentimentale, detesto i sentimentalismi. La morte, se esistono l’ovvio e il vuoto, è rappresentata dalla compravendita dei generi alimentari. E’ un bene sfamare gli uomini è un bene uccidere.
Detesto la “fotografia” e mi è insopportabile quando diventa “artistica”. Orde di impresari del reale con forbici tagliano qui e là. Stupide note.
Il sale serve per conservare, per “bruciare” rendere salamoia. Ogni rendita, e principio di questa, è “Sale”. Conservare è accumulare, allontanarsi dal presente: conservare, salare.
Accumulare immagini non è tradurre un “passato,” è, da questo punto, conservare un “futuro”, renderlo “commestibile”. Il vuoto non è reso per analisi antropologica, non è l’ombra dichiarata né il peccato sottinteso; né è un più vasto tentativo di stile di “voce”, di stile che trionfa personaggio.
Il giovane poco più che trentenne Goethe, scappa “fugge” dalla sua città, corre, discende, si immerge nella “sua” realtà, l’Italia, il Viaggio in Italia.
Goethe ha fretta, fretta di arrivare a Roma, rimane a Firenze tre ore, è solo di passaggio, ha fretta. Deve arrivare, sente che lì a Roma inizierà la sua Vita. Tutta la vita “Roma”; la sua vita.
Yasujiro Ozu è un regista giapponese, per tutta la vita “costringe” il suo direttore della fotografia a star sdraiato su una coperta, la macchina da presa è posizionata quasi a terra. Tutta la “vita” del cinema di Ozu parte da questo presupposto: la macchina da presa è in terra. I critici nella forma che è loro propria dicono che il suo stile è rigida formalità: geometrie spaziali. Ci dicono che il suo cinema è “moderno”. Il modo di Ozu di far cinema è non ipotecare il futuro, ipotecare il futuro. Non è una contraddizione.
L’Erario (ærarium, a sua volta da aes bronzo) è l’edificio che segnatamente può maggiormente simboleggiare la Repubblica. La ricchezza di Roma viene resa alla cittadinanza, è il nodo che vuol indicare mai più dittatori, mai più “Tarquinii” . Nei Fori a Roma, nel tempio di Saturno l’Erario è accumulo di bronzo, ricchezza. Non c’è a Roma nel 500 a. C. ancora moneta, solo l’Erario deposito di bronzo.
Thomas Mann, lo scrittore dei Buddenbrook, in un ideale (un saggio pubblicato nel 1923) fa incontrare il suo Goethe con il conte Tolstoj. Uno appare vecchio, in controluce immerso nei suoi pensieri, l’altro, Tolstoj, cerca di comprare delle verifiche di alcuni giovanissimi studenti. Fortuna è che Thomas Mann non ci dice che i due sono nati lo stesso giorno dell’anno e, per congiunzione, sullo stesso meridiano, li posa delicatamente sul podio Europa.
La grandezza di Goethe nei diari, pubblicati volutamente trent’anni dopo, è nella menzogna. I diari sono labirinto, “l’Arianna autobiografico”, costruzione del personaggio Goethe. Goethe è dovuto correre in Italia per conto del Duca di Weimar. Goethe “spione” non per sacro fuoco, roba per signorine, ma per urgenti “informazioni,” e riga per riga, è un piacevolissimo prendersi in giro, mentire. Ma è quella menzogna che diviene verità, capacità di condensare di funzionare come un quarzo nel principio forse da lui intuito. (segue)




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