*Ultimo lamento di una bottiglia di plastica, atto finale di una tragedia annunciata* -
di Nila Shabnam Bonetti
UNA VITA IMPACCHETTATA
Chiacchiere con Silvio Giordano, classe 1977, originario di Potenza e vincitore del premio Celeste 2009, sezione Video & Animazione.
di Maria Teresa Melodia
La tua opera dal titolo Packaging's Life ha convinto la giuria del Premio Celeste. Si tratta di un video nel quale prendono vita differenti anime di plastica, che si schiudono e si compenetrano riproducendo un suono gracchiante e scricchiolante. Mi racconti, in breve, com'è nata l'idea, cosa c'è dietro?
Spesso dietro delle idee c'è un sopra-pensiero: un'idea esce quando pensi ad altro. Osservavo la plastica per inerzia, la accartocciavo e si riapriva lentamente con movimenti simili a quelli di un insetto ferito in agonia, oppure allo sbocciare di fiori velocizzati in un video documentario, con la differenza che si trattava di oggetti reali senza respiro.Qualcosa di morto che tornava in vita, concettualmente un oggetto a metà tra tematiche della cultura cyberpunk e il ready-made. Una scultura di diossina che decide la propria forma e immagine assumendo in sé i simboli dell'inquinamento ambientale e del consumismo inutile delle marche e delle etichette, di cui sono inevitabilmente vittima anche io.
Il tuo video pone al centro, attraverso un'impattante metafora, la valenza sociale dell'arte. In quale misura è secondo te compito dell'arte occuparsi di realtà e temi sociali come i problemi ambientali?
Occuparsi di temi sociali è una scelta che l'artista può fare. Per quanto mi riguarda, la tematica ambientale è uno dei tanti aspetti sociali che trovo interessanti senza, per questo, definirmi un “artista ambientalista”. Come comune cittadino pensante ho le mie sane paranoie e preoccupazione sul futuro, quindi perchè non parlarne? Il contenuto è fondamentale. Adoro l'estetica e la bellezza, ma, un'eccessiva comunicazione emozionale dettata dall'aspetto formale toglie allo scambio verbale, alla riflessione, al porre domande, al commento e al dissenso, rischiando di rimanere una condizione di emozione personale. Quando l'arte crea dei pretesti per il libero ragionamento attraverso nuovi linguaggi, trovo l'esperimento o la ricerca artistica riusciti. Siamo in un momento storico in cui tutti sono tecnicamente preparati: fotografi glamour, pittori ineccepibili, videoartisti che catturano immaginari subacquei da vertigine, ma spesso manca un'idea, un concetto, una denuncia, spesso è solo masturbazione mentale che non porta neanche alla eiaculazione. Detto questo, neppure io ho negato al video la sua buona parte di armonia estetica, l'analogia con dei germogli colorati ha dato all'opera una sua “fascinazione”. Il ritmo è quello dei fuochi pirotecnici che, nonostante siano obsoleti, seducono ed ipnotizzano sempre. Un gala festoso dell'inorganico.
Seconda parte della domanda: un tale approccio (arte legata al contesto sociale) accomuna molti artisti specialmente del sud Italia, secondo te perchè?
E’ storicamente risaputo che il sud ha sempre dovuto fare i conti con difficoltà di ogni genere che hanno stimolato poeti, musicisti e artisti a comunicare a livello sociale.
Quanto ti aspettavi di vincere il premio Celeste e cosa pensi abbia convinto la giuria del premio, cioè qual è secondo te la forza della tua opera?
Spesso la video arte si rifà troppo al cinema con la necessità di raccontare o trovare un epilogo. Credo che in Packaging's Life la forza sia la sintesi. Un concetto intenso ma minimale, l'idea messa in scena con 4 centesimi. Una metafora sulla vita senza romanzarla. Non ho inventato nulla di nuovo, ovvio, ho documentato un'azione che corrisponde ad una reazione quotidiana senza eccedere in virtuosismi. Nella banale imperfezione delle cose si verificano le sorprese. È l'inatteso del comune che stupisce. L'audio fa la sua parte, il suono è tanto vero quanto nichilista, sterile ma allo stesso tempo ludico e vivace. Sono contento del riconoscimento avuto. Le aspettative sono umane, tutti auspicano il meglio per se stessi, ma, al contempo adoro l’imprevisto.
Ho visto che il tuo video, ancor prima di vincere il premio Celeste, è diventato virale, cioè è stato diffuso attraverso il passaparola delle rete su 70 blog tra cui riviste d'Arte. contemporanea internazionale. C'è dietro un abile lavoro di 'public relations' o è nato tutto in modo spontaneo? Mi interessa sapere quanto sei stato un bravo promotore di te stesso e quanto la rete ha viaggiato da sè...e naturalmente cosa ne pensi?
Ho mandato delle mail a 7 blog, ipotizzando che avrebbero agito da megafono. Il giorno successivo ero già on-line con testi critici e commenti in Inghilterra e in Giappone. Da lì è scattato il virus e si è diffuso in tutto il mondo: 10.000 visioni in 1 mese. Fantastici i testi spontanei scritti da curatori/critici/bloggers/editors, ognuno con la sua visione personale. Non era più mia l'opera. Una mattina ho trovato il video sull'ATLANTIC pubblicato da Andrew Sullivan, uno dei maggiori giornalisti di questo quotidiano che si occupa dell'attività politica di Obama e in precedenza di Bush. Dall'arte contemporanea all'interesse del giornalismo politico americano. Era quello che cercavo, un coinvolgimento generale, sociale, politico, creativo, elastico senza delimitazioni. Tuttavia credo che il successo di un'opera sia dato al 40% dall'idea, al 40% dall'auto promozione e al 20% dalla fortuna. (Più che “fortuna” vorrei usare la parola “Culo” altrimenti non rende l'idea).
Cosa penso di questa realtà “virtuale”? Penso che il mondo dell'arte contemporanea stia viaggiando in rete molto più che attraverso i “classici” luoghi riconosciuti. Di fatti, stando seduto, il mio lavoro ha fatto il giro del mondo. Dai tanti scambi avuti ho assorbito grande energia, passione, entusiasmo, la giusta carica per continuare nel mio percorso. Poi, forse, anche il web cambierà, e noi con lui, ma questa è un'altra storia.
Silvio Giordano
ULTIMO LAMENTO DI UNA BOTTIGLIA DI PLASTICA
ATTO FINALE DI UNA TRAGEDIA ANNUNCIATA
di Nila Shabnam Bonetti
Gli oggetti hanno una vita, lunga o breve. E anche un'anima.
Non parliamo di panteismo e non scadiamo nel feticismo, menzioniamo invece un fenomeno dei più naturali e quotidiani, cui però non facciamo molto caso. Noi investiamo sentimenti nei confronti delle cose che abbiamo attorno, che scegliamo di tenere conferendogli un valore simbolico e affettivo. Parlo di “cose”, non a caso, facendo riferimento alla distinzione che Remo Bodei compie tra “cosa” e “oggetto”: nelle varie lingue (pragma, sache, res) il primo termine rinvia all'essenza di ciò di cui si parla, mentre il secondo (objectum) indica ciò che mi sta davanti o contro, implica quindi una contrapposizione, una sfida finalizzata alla sopraffazione e al possesso di quest'ultimo.(1)
A proposito del rapporto tra uomo e cose, vale la pena soffermarsi (e commuoversi) sulle parole di Fernando Pessoa: “Sento il tempo come un enorme dolore. Abbandono sempre ogni cosa con esagerata commozione. La povera stanza d'affitto dove ho passato alcuni mesi, il tavolo d'albergo di provincia dove sono stato sei giorni, perfino la triste sala d'attesa della stazione dove ho speso due ore aspettando il treno: sì, le cose buone della vita mi fanno male in modo metafisico quando le abbandono e penso, con tutta la sensibilità dei miei nervi, che non le vedrò né le avrò mai più, perlomeno in quel preciso ed esatto momento. Mi si apre un abisso nell'anima e un soffio freddo dell'ora di Dio mi sfiora il volto livido”.(2)
O su quelle di Freud che individua come l'uomo compia investimenti di cariche libidiche su persone, animali, ideali e cose, tanto che se queste vengono meno, tale carica libidica vaga insoddisfatta alla ricerca di una nuova collocazione.
Le cose cui siamo affezionati e che conserviamo sono cariche di significati. Le apprezziamo per la loro funzione, se ne hanno una, ma soprattutto le amiamo se sono dono di cari o se rievocano qualcosa di importante. Noi possiamo prolungare la vita delle cose conservandole come reliquie preziose da tramandare ai nostri figli e ai figli dei nostri figli. Siamo noi che li teniamo in vita.
Qui si parla di sentimenti, mica bazzecole, questi sono oggetti privilegiati.
E poi ci sono loro, le prostitute del mondo degli oggetti, che vengono studiati e progettati da esperti pubblicitari (fior fiore di corsi universitari preparano agguerriti designer specialisti del packaging) per rendere più attraente il contenuto, per sedurre il compratore, per ammaliare casalinghe annoiate, per scatenare nella testa di chi li osserva una sola, incontenibile esigenza, quella di comprare quel prodotto. “A volte quest'aura prevale addirittura sul contenuto materiale”(3). Un amore veloce, consumato in pochi giorni, se non in poche ore, giusto il tempo di esaurirne il contenuto ed ecco che ci si ritrova presto con in mano un oggetto che ha perso tutta la sua carica di sensualità e l'unica cosa che ci interessa fare è cestinarlo (prendendo bene la mira). Forse giusto la sensibilità di Pessoa potrebbe giungere a compassione.
Comunque provate a fare attenzione la prossima volta che vi recherete in un supermarket: notate il cambiamento di percezione che avete per un oggetto visto e scelto mentre fate la spesa, notate con che cura lo scegliete e riponete nel carrello, nella busta della spesa, sullo scaffale di casa e poi, una volta svuotato del suo contenuto, come perde di significato, fino a disprezzarlo. Dura la vita del packaging! Dalle stelle alle stalle, anzi peggio, alla spazzatura. In un mondo usa e getta a tutti sono concessi quei 15 minuti di celebrità. Ma come la storia ci insegna, l'unione fa la forza e la forza ha sempre la meglio. Infatti, non per essere catastrofica, ma ormai siamo letteralmente sommersi da un esercito di rifiuti e basta abbassare per poco la guardia (e gli occhi, Napoli docet) per venirne travolti.
Sono nemici pericolosi e ingombranti, nessuno li vuole, nessuno si affeziona a loro, hanno senso d'esistere solo in funzione di qualcos'altro. Eppure hanno trovato un vasto numero di estimatori tra gli artisti, che ormai da più di cento anni, rivolgono a loro particolare attenzione, avendo colto l'importanza del fenomeno consumistico. Silvio Giordano aggiunge un prezioso capitolo a questa ricerca con il video Packaging's life, 2009. Un montaggio incalzante, semplice e sintetico che da voce alla protesta di quei materiali il cui destino è inesorabilmente segnato, ma che non rinunciano all'ultima parola di commiato. E' tragico ed è magico, è musicale, è un canto disperato, ma è anche una danza ironica e satirica. Si ribellano al nostro tentativo di comprimerli per farli stare nelle piccole spazzature domestiche.
Parlano una loro lingua, ma quando sentiamo dal cassonetto il rumore della bottiglia di plastica accartocciata contorcersi per riprendere la sua forma, non possiamo che commuoverci e provar pena (pur non essendo Pessoa) per il suo ultimo, spasmodico canto del cigno.
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Note:
1)Remo Bodei, La vita delle cose, ed. Anticorpi Laterza, Roma-Bari, 2009
2)Fernando Pessoa, Il libro dell'inquietudine, ed. Feltrinelli, Milano, 1986, p. 161
3)Guido Viale, Governare I rifiuti, ed. Bollati Boringhieri, Torino, 1999, p. 25







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