Instagrammatica
Mostre, Bologna, 15 February 2015
Testo critico di Fabio Cappellini
Tic. Tac. Tic. Tac. Un'ossessione. Una paura. Un pensiero fisso. La consapevolezza di qualcosa che segna inevitabilmente le nostre vite, senza che si possa fermare o rallentare. In un'epoca in cui siamo abituati a controllare in maniera quasi paranoica ogni cosa, da noi stessi, agli altri, al mondo che ci circonda, a volte diamo per scontate la ricchezza e la preziosità di vivere quello che poi ci verrà portato via e che non potrà più essere restituito. Tra i temi più discussi nella storia della filosofia e della letteratura, il tempo è forse quello che attanaglia maggiormente la mente umana sentendo che incombe su di noi come una presenza perenne che ci perseguita e ci domina. Viviamo in un contesto dove il tempo non esiste perché siamo costretti a usarlo per risolvere incombenze e obblighi dettati da un ordine prestabilito, con la conseguenza che quello che rimane della nostra vita è la perdita purtroppo quasi inconsapevole della libertà d'essere e d'azione. Ormai la nostra società ha disimparato ad accettare il corso delle cose, a rispettarlo e viverlo nella sua naturale bellezza, in quanto prevale la fissazione di sentirci padroni di noi stessi. Ma lo siamo davvero o siamo invece sottoposti al volere del potere politico che ci manipola a seconda delle sue convenienze? Il continuo confronto critico con la quotidianità fa scaturire profonde riflessioni sul mondo contemporaneo e Fabio Cappellini sente l'esigenza di analizzare certi aspetti che lo colpiscono e lo sconvolgono, di veicolarli e di comunicarli in maniera incisiva e significativa con diverse modalità espressive, quelle che ritiene più idonee a questo scopo. E' la curiosità che lo smuove e che lo porta ad immortalare con il semplice scatto della fotografia tutto ciò che fa esplodere in lui la sua emotività, realizzando un infinito reportage di quello che i suoi occhi vedono e lo commuovono. Con la bramosia di un collezionista si aggira inquieto per rubare l'anima delle cose e renderle presenze eterne sulla pellicola fotografica nonostante la loro fugacità, ossia l'essere stati attimi irripetibili. I suoi lavori nascono da una combinazione tra casualità e attenzione dove a volte, come nel progetto Locations dell'anima, prevale l'istinto e ritrova una sorta di serenità in quei particolari architettonici, naturali o umani, e in quei frammenti di situazioni che costituiscono il suo quotidiano; mentre altre volte, per portare avanti un'idea, si limita a isolarsi ed a osservare dall'esterno, come nel progetto Instagrammatica, in cui emergono molti accostamenti interessanti dove pochi elementi saltano subito all'occhio come se fossero decontestualizzati, permettendoci quindi di interrogarci su alcune questioni: il rapporto tra umanità e natura, l'uomo e la sua presenza nel mondo, la contrapposizione tra ciò che è puramente materiale e quello invece che pur invisibile si percepisce, come il passare del tempo, gli stati d'animo, certe condizioni sociali, la comunicazione o meglio, in questo caso, la mancanza di comunicazione. La prima fotografia con cui Fabio Cappellini inizia la serie in questione è quella che realizza al Museo degli Uffizi, nella stanza dedicata a Leonardo, in cui ritrae in primo piano un signore nell'ingegnosa operazione di farsi un selfie tra la massa di gente, cercando la posizione migliore non per ammirare i capolavori artistici, ma per apparire meglio nella propria foto ricordo destinata probabilmente ad essere pubblicata sul profilo personale di facebook. Sembra di essere arrivati a un punto di non ritorno in cui siamo completamente circondati dal valore estetico delle immagini e dalla logica imperante della comunicazione istantanea che ha il potere di ridurre qualsiasi nostro pensiero, azione ed emozione in codici numerici da inserire nell'interspazio digitale. Le previsioni catastrofiche sul controllo sociale di massa preannunciate da Orwell si sono avverate in quanto la facilità con cui l'informazione filtrata ci arriva, ci induce sempre di più a dipendere dalla modalità con cui vogliamo mostrare noi stessi, e il voler osannare le tracce del nostro passaggio attraverso i social network e i media non è altro che la dimostrazione di come sappiamo vivere solamente il momento attuale ed essere in fondo presenze effimere sulla terra. I nostri sforzi sono ormai incanalati nella creazione di avatar personali che prendono il nostro posto nell'infinita rete sociale dove la frase, l'immagine o il link che si condivide diventano gli unici parametri di giudizio per conoscere una persona. I potenti mezzi di comunicazione non servono ad altro se non a diffondere il finto mondo da loro stessi creato, in cui è più facile nascondersi perché non si ha più l'esigenza di entrare in contatto con il vero sé. Prevale quindi la terribile logica dell'apparire per la quale si assumono certe sembianze unicamente per farsi accettare, e questo continuamente essere connessi con gli altri risulta essere alla fine illusorio, come un velo di maya dietro cui si cela una profonda solitudine a cui siamo tristemente costretti a sottostare. Osservando queste scene ci rendiamo conto che la tendenza ad essere visti, raggiunti e contattati in ogni singolo momento, in ogni angolo del pianeta ci stia sempre di più trasformando in eterei fantasmi, troppo deboli e impotenti per trovare un'alternativa al nostro sistema che come un vortice procede inesorabilmente in questa direzione. Le fotografie di Fabio Cappellini ottenute con la spontaneità e la sincerità con cui guarda il mondo in cui vive hanno al forza di comunicare esattamente queste condizioni umane e sociali. Semplici gesti, che possono sembrare quasi scontati nella loro banalità, vengono qui amplificati nel silenzio assordante in cui sono stati colti, e gli scorci, dove la presenza dell'uomo si confonde con quella architettonica della città, rivelano come sia quasi immediato riconoscersi in tali istanti di vita altrui che ci troviamo a spiare e che ci permettono di avere una maggior consapevolezza su di noi e sulla massa a cui apparteniamo.
Monica Boghi

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