Curatrice della mostra : Chiara Strozzieri
Sede: Mediamuseum
Indirizzo: Via Alessandrini, 34
Inaugurazione della mostra mercoledì 27 aprile ore 18,00
MONDI D’INCANTO
di Chiara Strozzieri
Essere circondati da un nutrito numero di opere di Alfredo Di Bacco, conosciuto come un abruzzese di grande talento, che non ha mai tradito in tanti anni di ricerca il proprio stile manieristico, convince della difficoltà di vivere quelle atmosfere cupe a cui ci ha abituati. Si tratta di giochi d’ombra talvolta angosciosi, che aprono il sipario su scene improbabili, nate dall’accostamento di personaggi mitologici con altri presi dalla contemporaneità, dall’incontro tra ambientazioni oniriche e oggetti molto reali.
Non si può solo tornare alla figurazione, dopo che l’Informale ha dato all’arte una possibilità in più di azzerare i valori estetici formali e la Scuola di piazza del Popolo del terzetto Schifano-Angeli-Testa ha inflazionato la Pop Art, ma si deve anche scegliere la propria ispirazione, volgendo lo sguardo ai grandi del passato. Agli inizi degli anni ’80 la Pittura Colta, teorizzata dal critico Italo Mussa, accetta contaminazioni surreali e metafisiche, per riportare l’arte a un certo rigore formale. Di Bacco si avvicina alle idee di questo movimento e compie un passaggio importante dal disegno a matita, su cui si è esercitato per anni, concentrandosi, anche a scapito del colore, sull’indagine della figura umana e del suo sguardo interrogativo, alla pittura a olio, che diventa simbolica e schiava dell’inconscio. Eppure c’è un elemento che caratterizza il lavoro dell’autore abruzzese e che presto lo identifica come una voce fuori dal coro: il contrasto onnipresente tra luce e ombra, che offre richiami cinquecenteschi e induce al coraggioso accostamento con l’artista maledetto, il Caravaggio. Da questi egli apprende una lezione fondamentale sul potere dell’elemento luminoso nell’opera, come guida alla scoperta delle sue parti principali e all’oscuramento di verità di poco conto. È così che la mano dell’artista si fa seguire in un movimento preciso lungo la superficie e dà l’idea di una preminenza del suo volere creativo sull’oggettività delle cose. Ciò che gli interessa mettere in luce è sicuramente la plasticità dei corpi, che amplifica a dismisura l’importanza di un’umanità protagonista della rappresentazione, la quale schiaccia con la propria gestualità e vitalità un’ambientazione messa sempre in secondo piano, sebbene talvolta sia attentamente caratterizzata.
La contrapposizione tra buio e luce spinge inoltre il pittore a riflettere sul tema della morte, ricordando ancora una volta eccellenze caravaggesche come la Sepoltura di Cristo, in cui il passaggio all’ombra equivale al sopraggiungere della morte. Nel prevalere del dato luminoso chiaramente tutti i colori in qualche modo si spengono ed emerge il carattere tenue di alcune tonalità che sembrano particolarmente adatte a descrivere una vita ormai spenta.
Mi riferisco ad esempio al velo grigio che copre a metà il corpo inerme di Rosa, un quadro che con estrema delicatezza e l’aiuto di un fiore racconta la morte di una giovane donna. Il passaggio dal tessuto cinereo alla pelle della ragazza, che già si fa livida, mostra la linea sottile tra la vita e la morte e riduce quest’ultima alla perdita della gioia dei colori, all’ingresso in un’esistenza neutra ed eterna. Rimane una rosa come simbolo dell’amore che sopravvive alla fine, come vuole il mito di Adone, certamente conosciuto da Alfredo Di Bacco, la cui preparazione artistica si risolve in una conoscenza universale, avvalorata dalle prime opere di carattere mitologico, ma anche da quelle sacre, ispirate alla vita dei santi e alle parabole bibliche.
Qualunque sia la tematica affrontata, la figura femminile impera come un’ossessione del poeta/pittore che di lei non può fare a meno e nei suoi canti composti col pennello non fa altro che esaltare la sua bellezza e la sua forza. La perfezione di questa creatura magica, in grado di generare la vita, è magnificata nella sua nudità, che viene ritratta a età diverse e la rende amabile in tutte le accezioni. Di Bacco osserva con incanto l’eleganza giovanile dei ventri piatti e delle cosce tornite, concepisce corpi atletici, capaci di assumere posizioni complesse e dinamiche nello spazio, che sembra accendersi al loro tocco. Allo stesso tempo adora la disinvoltura con cui figure mature mostrano i loro seni scesi, i fianchi floridi, i volti segnati dal tempo. Comunque sia, la donna è una fonte di ispirazione continua, che gli offre lo spunto per interrogare anche se stesso, perché il quadro diventi la sublimazione di uno stato d’animo, di un sentimento. Durante questa analisi profonda, la relazione uomo-donna torna a più riprese attraverso uno scambio continuo di ruoli, che rende entrambi vittime e carnefici allo stesso tempo: difficile digerire la violenza di opere come Inquisizione o Come pietre, in cui delle giovani vedono violata la loro libertà e l’unico motivo di questo sopruso sembra essere una bellezza colpevolizzata; è possibile farlo solo pensando ad altri pezzi (La Dominatrice, La Coppia, Sottomissione, Tre rose), che al contrario danno alla donna piena libertà e assoluto potere.
I dubbi sulla natura della relazione tra i due sessi vengono chiariti definitivamente in un dipinto particolarmente riuscito, Dopo la tempesta, che vede una coppia arenata su un lembo di terra, mentre pian piano all’orizzonte sta tornando il sereno. Sembra proprio che la tempesta a cui si fa riferimento sia quella di Giorgione, capolavoro del 1506-’08, in cui però ancora campeggiava un fulmine, simbolo di un annuncio nefasto del Divino alle sue creature, ormai separate dalla grazia del Paradiso. Nel quadro di Alfredo Di Bacco si sentono ancora gli echi del passaggio della burrasca, ma la luce apre uno squarcio nel cielo e va a pacificare ogni cosa, consolando l’umanità per il suo destino di solitudine e isolamento da un regno meraviglioso, simboleggiato da una chiesa/castello ai piedi della rappresentazione. Le suggestioni giorgionesche lasciano il campo a differenze sostanziali come la nudità dei corpi, che non necessita di identificarsi tramite il vestiario con la gente di un’epoca precisa, ma ingloba il creato intero, o come la preminenza della donna, condottiera che si alza in segno di sfida contro il proprio destino, mentre l’uomo fiaccato giace rivolto a terra.
Dunque non solo la donna è un essere forte più di ogni altro, ma è una protettrice, un’alleata a cui fare riferimento, un’amante pronta a difendere il suo uomo, anche a costo di combattere contro qualcosa di più grande di lei, di opporsi alla vita che le è stata riservata.
Dopo la tempesta è una delle opere in cui l’artista ha creato un dialogo serrato con l’ambiente, riacquistando la fiducia in una natura oggi trasformata da una falsa idea di progresso. Il paesaggio riacquista una sua autenticità, rifacendosi agli albori della storia, tingendosi di verde incontaminato, liberandosi di qualsiasi traccia del mondo contemporaneo. In questo modo Di Bacco fa anche un omaggio alla sua terra d’Abruzzo e in particolare a Popoli, dove oggi vive e opera, con le sue rocce perennemente battute dal vento e il fiume Pescara, che qui ha le sorgenti. Del resto è proprio questa porzione di mondo ancora incontaminata a ispirare costantemente il pittore, a creare nella sua immaginazione un’atmosfera ancestrale, capace di riportare l’uomo a una vita selvaggia e pura.
È da notare l’illuminazione che prende queste ambientazioni naturali, il più delle volte salvandole dalle tenebre e arricchendole di cieli limpidi, in cui governano una tonalità nuova e un clima rasserenato. Allora si ha modo di affrontare tematiche più dolci, come quella della primavera, del riposo, della maternità, che mostrano un artista diverso, per certi versi più vicino alla Nuova Maniera Italiana, senza tuttavia la necessità di riempire i propri esercizi di stile con citazioni michelangiolesche, come gli aderenti al gruppo di Giuseppe Gatt. Semplicemente Alfredo Di Bacco fa i conti con un’abilità tecnica esercitata in oltre trent’anni di attività, che dà vita a disegni di estrema ricercatezza, sempre molto eleganti e impreziositi da guizzi di grande inventiva. L’esperienza è dimostrata anche dai felici accostamenti tra figure particolarmente audaci, che altrimenti non potrebbero dimostrare la loro giustezza all’interno della composizione, e dal racconto sempre serrato che il fermo immagine del quadro rende implicitamente. La particolarità di una figurazione del genere soprattutto stimola la fantasia e permette alla mente di divagare, alla ricerca di significati appropriati da affibbiare alle scene, di risvolti possibili da immaginare per le situazioni rappresentate.
Se entra in gioco l’empatia da parte dello spettatore, una pittura nata come essenzialmente autoreferenziale conferma il suo alto valore, perché permette di ricalcare le orme dell’artista su un sentiero di crescita continua nel tempo. Alfredo Di Bacco si era rifugiato nelle mitologia, oggi invece è l’inventore di un paesaggio dell’anima dove tutto gli è concesso, perfino di vivere da primitivo o di cambiare senza vergogna la sua condizione nel mondo. Per la sua pittura ogni evoluzione è rivoluzione, basta scorrere gli esiti degli ultimi anni di ricerca per aspettarsi che nuovi scenari fantastici presto si aprano e vengano a svegliare ancora una volta il nostro spirito.





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