I fiori in tasca
Galleria Enrico Fornello Milano
Inaugurazione: Giovedì 20 settembre 2012 ore 19.00
Durata dell’esposizione: 21 Settembre – 10 Novembre 2012
Orario di apertura: Lunedì-Venerdì 14-19
Vedo
i
fiori
ai
miei
piedi
e
sono
altri
i
fiori
che
io
vedo.
Quelli
che
ritmicamente
calpestavamo.
Sono
poi
gli
stessi.
Samuel
Becke:,
Basta.
Mutuando
ciò
che
scrive
Jacques
Lacan
a
proposito
del
neologismo,
potremmo
definire
il
lavoro
di
Giovanni
Ober=,
qui
alla
sua
prima
personale
presso
la
galleria
Enrico
Fornello,
come
una
strategia
significante
che
non
rinvia
a
nessuna
significazione
che
non
sia
che
la
propria
significazione,
la
quale
fa
peso
e
ostacolo
in
se
stessa
senza
alcun
rimando
e
senza
alcuna
inclinazione
transferale.
Contestualmente
però
e
sempre
aDraverso
Lacan,
il
=tolo
della
mostra
‘i
fiori
in
tasca’
sembra
rimandare
a
ciò
che
lo
psicanalista
francese
contrappone
proprio
al
neologismo
e
cioè
il
ritornello,
la
can=lena,
un
qualcosa
che
ribaDe,
si
ripete,
si
reitera,
si
sciorina
con
una
persistenza
integralmente
stereo=pa.
E’
proprio
aDraverso
il
sincronismo
inallogabile
e
indistricabile
di
questa
doppia
pra=ca
della
contrazione
e
dello
spargimento
-‐
pra=ca
bifida,
ossimorica,
indis=nguibile
e
incollocabile
che
si
conserva
proprio
perdendone
l’indizio
-‐
che
il
lavoro
di
Ober=
scoperchia
e
rende
visibile
una
specie
di
densità
oDusa,
un
piombo
nella
rete
che
si
manifesta
nella
forma
stessa
della
propria
–
impossibile
–
significazione,
come
un
miraggio,
scrive
Massimiliano
Fierro,
“che
non
dovrebbe
mai
stancarsi
di
mostrare
sempre
le
condizioni
materiali
che
lo
rendono
tale”.
Si
mostra
qualcosa
come
niente,
ma
un
niente
senza
nome
–
iposta=zzato
dall’ar=sta
che
firma
o
meglio
controfirma
il
=tolo
della
mostra
aDraverso
la
fuliggine
che
demarca
e
rileva,
scrive
Jacques
Derrida,
“
un
resto
che
è
d’obbligo
che
non
res=
più:
questo
luogo
di
un
nulla
di
nulla,
un
luogo
puro
anche
se
si
dovesse
cifrare”
-‐
ad
un
tempo
al
di
qua
e
al
di
là
dell’anonimato,
impersonalmente
singolare,
rigeDato
in
un
evento
che
si
fa
mentre
non
diviene
evento
che
come
limite
interno.
Limite
proprio,
senza
fondo
del
limite
puro
che
appare
direDamente,
tautologicamente,
sperimentando
un
aDo
che
non
si
prolunga
nel
tempo
se
non
temporalizzandosi,
designandosi
come
proprio
idioma
direDo,
pezzo
di
un
evento
unico,
adeguato
all’intero
tempo.
L’opera,
l’operare
di
Ober=
mostra
allora
la
chiusura
che
si
dona
proprio
nella
res
gestae
di
un’irriducibile
manifestazione
esautorante:
un
evento
interno
al
tempo
nel
senso
in
cui
è
la
differenza
interna
al
proprio
tempo,
l’interiorizzazione
della
sua
separazione
che
non
fonda
e
non
costruisce
ma
meDe
soDo
gli
occhi
una
condensazione
aggregata
soDo
i
colpi
di
maglio
di
una
frammentazione
sempre
in
agguato.





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