Ex Scuola L. Radice, Porto Ercole
dal 6 Agosto al 21 Agosto 2011
Inaugurazione Sabato 6 agosto 2011 dalle ore 18.30 alle 24.30
Artisti: SANDRO DEL PISTOIA / LUCA GRECHI / HIO RAIN E BOTTEGA / FRANCESCO MINUCCI / LAPO SIMEONI / GIUSEPPE ZANONI
Organizzata da / Associazione Melograno - Art.Lab Arte Contemporanea
Mostra a cura di / Lapo Simeoni - Testi di Mauro Papa
Patrocinio di / Comune di Monte Argentario,
Orari - tutti i giorni dalle 21.30 > 24.30 - ingresso libero
Info mostra, opere e per apertura mattina o pomeriggio su appuntamento
T +39 349 0706457
laposimeoni@yahoo.it
http://www.artlabgallery.com
“Gli etruschi? Ma gli etruschi non sono mai esistiti. Voi vi chiedete da dove sono venuti, se dal continente, o dall’Asia Minore, o dall’America; avanzate anche l’ipotesi che siano sempre stati qui. Ebbene, avete tutti ragione e tutti torto, cioè vi ponete un problema che non ha senso. Avrebbe senso chiedersi da dove sono venuti i piemontesi, o i toscani, o i milanesi?”
Luciano Bianciardi, Il Lavoro culturale, 1957.
Gli etruschi sono una creazione culturale. Come i maremmani. Che collegamento c'è tra l'attuale popolazione (ibrida e prevalentemente immigrata negli ultimi due secoli) del nostro territorio e quella etrusca? Lo stesso che c'è tra la popolazione del Nord Italia e la Padania “celtica e longobarda”: un collegamento assolutamente non genetico ma mitico, di costruzione identitaria fondata su artificiosi canoni di appartenenza. E questo perché camminiamo dove camminavano loro (forse), guardando gli stessi tramonti e lo stesso mare (forse). In definitiva condividiamo lo stesso territorio, la stessa Maremma che “è puro movimento, una città che non è mai e diventa sempre”.
Oggi, però, gli etruschi non esistono se non nella mente erudita degli studiosi, in quella superficialmente curiosa dei turisti o nella immaginazione fertile dei creativi. Sono come le Muse, gli etruschi. Ispirano e stimolano la creazione di nuovi mondi e nuovi immaginari. Fecondano la contemporaneità con molteplici suggestioni dal fascino archetipo: l'arte che esorcizza la morte, l'emancipazione della figura femminile, le capacità divinatorie degli aruspici, il mistero di una lingua ancora sconosciuta, la seduzione esotica delle origini orientali. Ma lo stimolo maggiore, per gli artisti, è rappresentato dalla dimensione simbolica. Seneca tentava di spiegare così la differenza tra latini e etruschi: “Questa è la differenza tra noi e gli Etruschi... noi pensiamo che i fulmini si producano in seguito all'urto delle nubi; essi ritengono che le nubi si scontrino perché si possano produrre dei fulmini e infatti, poiché attribuiscono tutto alla divinità, sono convinti che le cose hanno un significato non perché avvengono, ma che esse avvengono in quanto portatrici di significati”.
E così gli artisti nella mostra di Porto Ercole (“Etruschi contemporanei”) espongono non perché qualcuno ha fornito un pretesto per esibirsi, ma perché devono presentarci divinazioni estetiche da vaticinare in modernissimo rituale. Le egagropili usate da Giuseppe Zanoni per comporre la sua figura archetipa sono una metafora della creazione del mondo; esse si formano con la posidonia oceanica, che con il moto ondoso e le correnti crea delle sfere fibrose perfette, come pianeti o mondi nell'universo. La posidonia oceanica è come un seme, il nucleo da cui parte la vita. Hio Rain evoca, con il lavoro “Three brides”, un cuore pulsante di materia che rappresenta e ingloba una parte di umanità – in questo caso esclusivamente femminile – che si unisce, si confronta, si protegge, si guarda le spalle, si completa... si sposa sfidando la morte, come nei celebri sarcofagi etruschi. Al confine tra vita e morte si pone anche il lavoro di Lapo Simeoni, il quale dipinge e incide sul metallo, come se scavasse nel pigmento per trovare un tesoro luminoso, immagini di urne funerarie ritrovate in Maremma. Il gesto creativo non si esaurisce nella dimensione pittorica, ma si completa nell'operazione concettuale: tutte le opere saranno rilevate con scrupolo filologico come fossero antichi reperti in un cantiere di scavo. Un puzzle di motivi iconografici desunti da molteplici fonti reali o fantastiche costituisce invece il geroglifico visivo di Luca Grechi: unendo casualmente frammenti spuri come grifoni, anfore, chimere, figure discinte e danzanti, Grechi crea nuovi (o antichissimi?) percorsi e dialoghi, resi ancora più melliflui e misterici dall'uso di un linguaggio sbiadito ed evanescente, destinato ben presto – per caratteristica effimera di rivelazione – a svanire.
Da tutti questi presagi si distaccano i lavori, più prosaici e meno mistici, di Sandro Del Pistoia e Francesco Minucci. Del Pistoia celebra l'altissimo livello artigianale dei manufatti etruschi con le sue opere di design, in cui la ricerca della forma trascende il tempo per consegnarci oggetti sempre nuovi e sperimentali. Accanto ai materiali tradizionali (cuoio, legno, pelle, rame), queste opere usano alluminio e silicone, cioè quei prodotti – come fecero gli etruschi col bucchero – che esprimono l'evoluzione sempre costante e trasfigurante del processo tecnologico. Francesco Minucci presenta invece lavori dissacranti e dadaisti, cogliendo così in pieno lo spirito ironico e disincantato del Bianciardi che abbiamo citato in apertura: l'etrusco di Minucci non esiste, ma diventa tale quando indossa smaccati stereotipi (maschera, indumento pseudo-antico, anfora finta) e, abbandonato sulla strada, chiede un passaggio per tornare a casa.
Che non c'è più.
Mauro Papa




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