Non capita sempre ed è sempre più raro trovare sintonia con quel che si osserva e si considera opera d’arte, soprattutto quando si lo fa per lavoro. Capita più spesso di cercare una traccia che possa ricondurre artista e il suo fare arte a una filologia storico – artistica e su questa scia poi si trovano motivazioni e l’originalità dell’autore. L’emozione e la gioia di scrivere si creano, tin questi casi, nella struttura del discorso che diviene una storia che si possa leggere e raccontare. Ma se le opere coinvolgono, emozionano prendono pancia, cuore e mente allora è cosa ben diversa, scrivere diventa più facile perché è come ascoltare e tradurre sentimenti, una sorta di dettato.
È in questi casi che si riesce a sentire il suono e il vento dell’energia che ha mosso il pennello, la matita, l’obiettivo, la modellazione, la costruzione, l'anima dell'artista, il suo esistere, ed è in questi rari momenti che si naufraga sicuri di non perdersi, si percepisce il “non caso” e il tutto si rivela.
C’è un fare arte che in questo tempo si manifesta attraverso artisti che hanno la peculiarità del talento dello sporcarsi le mani con la materia. Non sembri strano, perché poi, questo tipo di talento non è cosa facile da trovare, ma c'è una considerazione su cui occorre riflettere per capire ancor di più il momento storico artistico attuale e il talento di Max Gasparini; con il dopo guerra e più precisamente dagli anni ‘50 ai primi dei ‘70 si formò una filosofia estetica dettata dalla ricerca dei movimenti Neo-Dada e Minimal Art. Fu un periodo storico artistico fantastico, caratterizzato dall'uso di oggetti desunti dal quotidiano e inseriti all'interno dell'opera d'arte. Una propensione simile distinguerà, poco dopo e in senso già profondamente concettuale, anche le provocazioni neo-dadaiste di artisti italiani come Piero Manzoni. I concetti e le idee espresse diventarono più importanti del risultato estetico e percettivo dell'opera stessa. Fu un’onda talmente vibrante ed energica che caratterizzò tutto il globo e in Italia ebbe i suoi esponenti negli artisti dell’Arte propriamente detta Povera, si pensi alle esperienze di Alberto Burri, Michelangelo Pistoletto, Mario Merz, Giulio Paolini. C’era l’intento di sottrarre l’arte medesima ai vincoli formali e culturali che ne avevano costituito la tradizione. Il movimento che ne seguì fu chiamato Transavanguardia che voleva, come suggerisce il termine, coniato da Achille Bonito Oliva, superare tutte le avanguardie del ‘900 e ritornare all’oggetto e alla pittura. Ma è il Postmodernismo il movimento che caratterizzò gli anni 70 e ’80 a permettere l’artista di riappropriarsi delle tecniche e della poetica del creare. Ci fu il recupero delle visioni più tradizionali dell’arte figurativa e un ritorno all’uso della pittura e della scultura per veicolare le esperienze del campo estetico. Ciò che mi piace sottolineare, in questo contesto, è il superamento del concetto di progresso continuo e ascendente. Tutto è stato già espresso per cui la “citazione” diviene uno dei procedimenti tipici e più riconoscibili delle varie tendenze artistiche. La stessa composizione dell’opera divenne il risultato di culture e storie diverse filtrate attraverso la memoria.
È da questo percorso che si può avere piena percezione del fare arte di Max Gasparini. Si parlava di talento ed è nel suo genio compositivo che si trova la radice etimologica del termine talento, cioè vera armonia, giustezza di pesi, tàlanton che in geco antico indicava bilancia, pesare, trovare giustezza tra misure. Max Gasparini è un artista che ha avuto il coraggio, nel corso del suo vivere artistico di mettersi in gioco, di rivoluzionare con la forza dell’immaginazione il suo fare arte non solo nel veduto e nella sua rappresentazione, ma anche nel supporto che nelle sue opere diviene un vero spazio magico dove l’idea prende corpo, linea, forma e colore.
Egli è figlio della fiera terra Bresciana, ma le sue origini genealogiche attingono al trevigiano di Giorgione, il non caso, e dal bresciano prende la semplicità di chi sa vedere la ricchezza nelle cose povere, piccole nella materia screziata dal colore corroso dal tempo e dai tempi, da una superficie scrostata dal vento e dall’acqua di grondaia.
Le sue figure sono vera e propria rivelazione, il colore che lui posa rivela una superficie che sembra già contenere la forma quasi che, in senso neoplatonico, lui non debba far altro che permettere all’immagine di rivelarsi e di compiere il mistero.
Ogni sua opera è come una poesia che non è stata ancora scritta. Dietro la forma, oltre il segno visibile si apre il contenuto che sfugge ai sensi. Ecco perché è necessario un atteggiamento contemplativo, di dialogo e supporto tra arte e pensiero interiore, per sciogliere lo strato di evanescenze che con il suo fare arte diventano immanenti, razionali più che reali. È evidente una capacità straordinaria di tradurre il disegno in volume con le cromie sia tonali che monocrome. La sua trama pittorica è figlia della cultura artistica italiana del XX secolo è evidente la lezione di Fausto Pirandello, Filippo de Pisis e Roberto Melli, ma se in questi maestri la pittura non rivela che la materia dell'oggetto in Gasparini, la pennellata non forma l’oggetto, lo rivela insieme all’immaginifico che lo contiene. Ciò che l'artista produce non è una rappresentazione di cose viste, ma una raffigurazione di ciò che la sua coscienza ha vissuto, la sua mente racchiude, ricorda e ha memorizzato. La pennellata altro non è che il ponte necessario perché la superficie si trasmuti in quel femminile arcaico che rivelò il cosmo, perché è la donna nella pittura di Max la chiave di volta che fa da tramite tra il trascendente e l'immanente. È una figura senza tempo né tempi, è di una bellezza assoluta, fiera e austera. Davanti alle femminilità che lui dipinge ci si scopre finalmente capaci di percepire il bello e l’eros insieme, quasi che gli dei, Afrodite ed Eros, abbiamo scelto quest’artista per rompere finalmente l’afonia che invade gli animi degli uomini di questo tempo e finalmente distinguere il vedere dal guardare.
L’atteggiamento che richiede la sua pittura è quello della “contemplazione dinamica”, cioè il lasciare che le figure parlino all’anima perché si possa poi riprendere il cammino con più vigore. È un atteggiamento fatto di energie, di dialogo silenzioso, lo stesso del filosofo e dell’artista (o di certi artisti).
È l’energia di chi si ferma di fronte al mondo, di chi sospende l’azione e cerca di risolvere le continue questioni del fare, i dubbi sui “convenzionali” significati delle cose. Così Max Gasparini indaga il reale con gli occhi di chi allo stesso modo cerca ”altro”, con l’inquietudine di chi ascolta la necessità di cercare, trovare. Lui costruisce le sue immagini facendo in modo che il fondo stesso, dove posa l'immagine, diventi una sorta di trama che si armonizza con l'ordito, la figura. È un poeta Gasparini che usa la pittura come fossero frasi. Il suo fare arte è un operare sulla realtà in un percorso di svelamento, di demolizione dei limiti accendendo nell’intimo di chi guarda la stessa inquietudine filosofica che nello stupore pone domande, si resta ammaliati dall’opera e comunque liberi di intuire l’invisibile. Formidabile è quando rielabora sapientemente citazioni neo rinascimentali perché la visone nel divenire percezione abbia dei parametri immanenti. Ogni sua pittura è un tramite tra l'immanente di chi guarda e il trascendente che con il fare arte diviene percepibile nell'evanescenza di una pittura sapiente, in cui la tecnica si è piegata alla ragione dei sentimenti. Straordinarie sono le opere su lamiera e su tela screziata dall'acqua piegata e rispiegata, quasi che il pittore fosse l'artefice di Crono che segna la materia in maniera indelebile. È in queste opere che l'evanescenza diviene immanenza e la visione finalmente gioca con i sentimenti.
Il senso del suo fare arte, la motivazione che risponde a questa necessità che per artisti come lui è vitale quasi come il respirare, si discerne attraverso la metamorfosi della forma, la trasmutazione della superficie che diviene immagine. È il risultato di racconti interiori e di intuizioni, attraverso una decostruzione del reale. Lui non propone realtà oniriche dove prendono vita i sogni, i dolori, le inquietudini, le speranze e le paure; come se le immagini e le situazioni visive con cui lo spettatore si trova ad interagire ricordino che la realtà “non basta”, ciò che lui dipinge è tutt'altra cosa è la vera essenza del trascendente che permette al vivere di avere un senso o di ritrovarlo. La vita che vedo e vivo resta vuota se accettata così com’è, nella sua convenzionalità e come se tutto anche la bellezza fosse scontata; tutto accettato col silenzio-assenzo della mente che non si interroga più. Proporre un varco dove intravedere il luogo trascendente da dove sono venuto significa rendere migliore l'immanente in cui mi trovo. Le sue donne hanno la stessa aura concettuale della Madonna con Bambino e angeli di Filippo Lippi custodita agli Uffizi. In questo piccolo quadro il maestro toscano riproduce la Madonna seduta su di un tronetto che è posto a metà della battente di una porta. Il volto è bellissimo pare che riproduca Lucrezia Buti una suora carmelitana che lasciò tonaca e convento per amore di Filippo, ma del resto anche lui frate carmelitano buttò il saio per amore di lei. Nel quadro un angelo sorride e ci guarda è posto verso l'osservatore e sorregge Gesù Bambino insieme a un altro angelo di cui si vede solo il naso e la bocca. Questi è posto invece al di là della porta ed è chiaro che Il bambino viene da quel di là dove si vede un paesaggio ieratico naturale e spirituale insieme. La Madonna con le mani giunte prega Dio suo figlio, Creatrice del suo Creatore è messa come Porta del Paradiso e prega perché noi che guardiamo dall'immanente possiamo accedere un giorno per intercessione del Femminile verso quel Trascendente che i cristiani chiamano Paradiso.
Le immagini di Max Gasparini hanno questa peculiarità che rende il suo talento vera e propria comunicazione che modifica la percezione e apre la coscienza a qualcos'altro; una immagine quella di Max Gasparini che non si limita a imitare la realtà ma che nella sua trasmutazione della superficie rinvia ad una indagine interiore talvolta simbolica, rimanda ad un mondo non rappresentato, a quella poesia che non è stata ancora scritta.
Alberto D'Atanasio
Docente di Storia dell'Arte ed Estetica dei Linguaggi non Verbali







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