Observateurs d'Art, curiosi a Parigi
Mostre, Messina, 08 February 2019
OBSERVATEURS d’ART

Aurelio Valentini/Antonio Giocondo

Teatro Vittorio Emanuele 8 febbraio 2019

Ho accettato con cuore allegro di scrivere un testo critico per Observateurs d’Art in primis perché legata da amicizia e stima ai due artisti, stima reciproca che è andata crescendo nei dieci anni trascorsi al pari di una progressiva, garbata e mai invadente conoscenza fortificatasi con cene, passeggiate, feste di compleanno.
Sono quindi felice di accompagnare Aurelio Valentini e Antonio Giocondo, a braccetto com’è mio uso fare, in questa ennesima avventura, in questo progetto leggero ma non per questo superficiale, in questo divertissement.
Tutto nasce da un improvvisato viaggio a Parigi nel luglio dello scorso anno, nello stesso periodo in cui anch’io, e anch’io con un’amica, avevo deciso di vagabondare in Europa per mostre non volendo perdere per nessun motivo al mondo le esposizioni del centenario della Secessione nella austera Vienna che celebrava il suo funesto 1918, la sconfitta della guerra, la fine del suo impero, la morte per spagnola di Moser, Wagner, Schiele, Klimt. In quello stesso periodo, appunto, Valentini invitato a Parigi da un amico, Enzo Brullo, telefona a Giocondo proponendogli di fargli compagnia per due settimane nella capitale francese. Giocondo, senza farselo ripetere, acquista subito i biglietti aerei. Entrambi dotati di apparecchiatura fotografica, entrambi senza fretta, senza tempo, vagano per gli arrondissement, per i lungosenna, per i mercati e le papeterie, per le gallerie private e per i grandi musei mentre l’ospite suggerisce loro l’idea di una mostra che comincia a prendere corpo solo dopo il loro rientro.
Ma come si fa una mostra su Parigi? Quella Parigi che ogni cittadino europeo ha l’impressione di conoscere pur senza esserci mai stato, quella capitale talmente rappresentata in ogni suo boulevard, caffè, monumento da pittori e fotografi a partire dalla metà dell’ 800?
La Ville Lumière fermata sulla tela dai giovani pittori che con la mostra del 15 aprile 1874 segnarono la nascita dell’arte moderna, la citta di Daguerre e Nadar che vide in quegli stessi anni il prepotente affermarsi della fotografia come nuovo medium dell’arte visiva?
Nasce allora il progetto di una doppia personale pittorica e fotografica orientata su quel soggetto che più di ogni altro ha stimolato i due viaggiatori/osservatori che cominciano a vagliare attentamente più di 6000 scatti. Un lavoro emotivo fatto di corrispondenze, due visioni del mondo che corrono su linee parallele, un confronto serrato quanto amichevole: gli osservatori dell’arte, la vita che scorre in quei luoghi austeri che sono i musei (il Louvre, il Museo d’Orsay, il Petit Palais, il Centro Pompidou). Un progetto nuovo per Messina e per la Sicilia che si inserisce in un filone di ricerca che annovera fra i suoi antesignani artisti quali il brasiliano Alecio De Andrade col suo studio pluriennale sui visitatori del Louvre, o il più recente People matching artworks, del fotografo austriaco Stefan Draschan.
Valentini, com’è nel suo stile, fotografa una umanità varia, un po’ sovrapensiero, carpisce momenti di vite qualsiasi, antieroiche, per poi trarne dipinti fluttuanti, in cui figure assorte appena sporcate di pigmento si accampano su sfondi privi di qualsivoglia definizione e in cui, volutamente, viene eliminata l’opera cui fa riferimento il visitatore isolato così nel suo vagare mentale, nel suo essere solo in mezzo alle altre solitudini di umanità (tranne in un caso di decollage).
Giocondo gioca con l’analogia e il contrasto sottolineando, per così dire, il politically incorrect, cogliendo le combinazioni fra un’opera e un osservatore, soffermandosi sul colore di un vestito, dei capelli o sulla posa dissacrante piuttosto che estasiata o distratta di un turista. Le combinazioni risultano così inaspettate. Con risultati divertenti, leggerezza ed ironia emerge la fascinazione di corrispondenze casuali che risultano invisibili all’occhio distratto ma che diventano sapide per quello del fotografo.
L’esposizione giocosa di queste 30 opere di identico formato si propone una riflessione sul dialogo fra fotografia e pittura e, soprattutto, fra chi osserva un’opera e l’opera stessa facendoci sorridere - se pure ce ne fosse ancora bisogno - della frase che pare sia stata pronunciata dal pittore francese Paul Delaroche nel 1839 quando fu ufficialmente inventata la Dagherrotipia : “Da oggi la pittura è morta!”

Mariateresa Zagone

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