L'ingannevole deformazione del tempo - intervista a Filippo M. Prandi
14 March 2015
D) Come nasce la tua passione per la fotografia?

R) La mia passione per la fotografia nasce con la scoperta di una area molto specifica di questa forma d'arte: la lunga esposizione (il genere di fotografia usato per fare apparire deserte le piazze più affollate del mondo, quali Times Square). Ancora più precisamente, mi sono innamorato di una tecnica chiamata "light painting" (pennellare con la luce). Una persona in particolare mi ha fatto da mentore, introducendomi a questa peculiare tecnica: il fotografo Chiloé Rosanto. Se non fosse per lui, forse, non sarei mai diventato un fotografo. Di fatto non ricordo un preciso interesse o una particolare predisposizione per la fotografia, durante l'infanzia o l'adolescenza. Catturare la mera realtà, in un fuggevole istante, non mi ha mai interessato.

D) Sul sito inviti i visitatori a osservare le foto come pura magia. Cos’è per te la magia e come la coniughi con l’arte?

R) Ritengo che la magia interessi chiunque. Uno dei romanzi / film che mi ha maggiormente affascinato ed influenzato è “ The Prestige”. Una frase in particolare tengo sempre a mente: "Se puoi ingannarli (gli spettatori), anche per un istante, allora puoi sorprenderli…". Ecco, è questo che faccio: cercare di ingannare l’occhio degli spettatori, al fine di sorprenderli. Il concetto stesso di illusione e' stato la colonna portante del cinema, sin dalle sue origini - sono un cinefilo ed un filmmaker - ma lo stesso non può necessariamente essere detto per la fotografia. La fotografia (precursore del cinema da un mero punto di vista tecnico), invece, non ha sempre avuto lo scopo di illudere. Più spesso di quanto non avvenga nel cinema, la fotografia può essere usata quale mero strumento per catturare la realtà (come nelle opere di Terry Richardson). Alle volte la fotografia può raccontare bellissime storie (come nelle opere di Robert Frank). Il mio obiettivo e' quello di raccontare una storia, ingannando la percezione dell'osservatore (le mie opere pullulano di illusioni ottiche), senza l'utilizzo di assistenti, luci di scena e - molto spesso - catturando lo stesso soggetto in multiple posizioni. Il mio dogma e' il seguente: scattare solo in pellicola (per ora 35mm) e senza usare Photoshop! Voglio che coloro i quali osserveranno le mie foto (ed i loro negativi allegati), provino lo stesso stupore che avvolse l'audience del primo film dei fratelli Lumiere. Voglio risvegliare l'occhio umano da una apatica accettazione di immagini digitali ultra-ritoccate, quali fotografia (graphic design sarebbe la giusta categoria).

D) C’è un richiamo nelle foto della serie “fantasmi”. Quanto sono significativi per te i fantasmi? C’è un motivo particolare di questo legame?

R) Il ricreare un effetto "fantasma", una volta preso confidenza con la tecnica del light painting, non e' particolarmente difficile. Di fatto, fra i pochi "light painters", nel mondo, quasi tutti si limitano a creare questo - alle volte affascinante - effetto. Non sono completamente sicuro dell’esistenza dei fantasmi, ma sono sempre rimasto affascinato dall'idea che possano esistere. La narrativa e i film hanno spesso esplorato questa possibilità. Di fatto ho sempre amato Edgar Allan Poe. Come già affermato, non amo ricreare l'effetto fantasma (semi-trasparenza ed illusione di movimento), a meno che non ci sia un significato dietro alla foto. A tale riguardo menziono la serie "Missing in NYC". L'idea per questa serie, che consiste nel "catturare dei fantasmi" nell'atto di osservare i propri "Missing Person" poster, mi e' venuta dopo avere notato un allarmante aumento di queste locandine, nelle metropolitane e sulle strade di New York. Dozzine di persone, nel corso di questi mesi, sono scomparse senza lasciare traccia. Questa serie e' il mio tentativo di esplorare questo aspetto - sebbene spiacevole - di New York, rappresentandolo visivamente, in un modo diverso e - a giudizio di molte persone - "freaky". "Freaky" quanto possa essere la scomparsa di molte persone.

D) Il tuo soggetto preferito sono le donne: che rapporto hai con il sesso femminile e come mai ti piace scattare momenti intimi?

R) A chi non piacerebbe? Ho avuto diversi soggetti maschili (compresi quelli della serie "Artists"). Cio' detto, non credo che scatterò mai una foto, rappresentante un momento "intimo", che abbia per soggetto un uomo. In principio, quando ho dovuto chiedere ai miei primi soggetti di posare per delle foto (New York pullula di aspiranti modelle e attrici), ho deciso di optare per degli studi fotografici , in quanto ritenevo fosse più professionale: requisito fondamentale per fare sentire al sicuro le modelle, non avendo io un portfolio e, pertanto, non avendo credibilità quale fotografo. Spesso le mie modelle hanno un accompagnatore durante il servizio fotografico (in un paio di occasioni perfino i propri ragazzi…strana situazione!). In seguito, durante la primavera e l'estate, ho avuto modo di fare molti scatti all'aperto (Dumbo e' il mio quartiere preferito) e l'inverno successivo - ora con un minimo portfolio alle spalle - ho deciso di abbandonare le fotografie da studio. Dopotutto la mia tecnica e' quanto di più distante da quel genere di fotografia. Di fatto non uso altre luci che una torcia. Al momento dello scatto la "location" del servizio fotografico e' completamente al buio. L'unica luce e' quella della torcia che punto verso i corpi dei miei soggetti. Il procedimento stesso e' intimo. No?

D) Lavori in una città capitale mondiale dell’arte contemporanea. Qual è il tuo rapporto con la città? E cosa ti ha spinto ad andartene dalla tua città natale Bologna?

R) Non credo di essermene "andato", da Bologna, per quanto viva a New York da 8 anni (dopotutto sto tornando per questa mostra). Una volta ottenuta la laurea presso il DAMS di Bologna (cinema e arti visive), sono venuto a New York per frequentare la New York Film Academy. Dopo pochi mesi dall'inizio dei corsi, sapevo già di voler restare in questa città e di tentare la mia fortuna, quale filmmaker, negli Stati Uniti. Come molti altri prima di me, sono stato sedotto da questa pazza, caotica e strepitosa città! Terminato il 1-year-ma-program alla NYFA, ho lavorato presso la stessa scuola, come assistente alle lezioni di pellicola 16mm. In seguito sono stato assunto come video editor e sound designer presso la compagnia Optic Nerve (ho collaborato al montaggio di spot televisivi e web). Dopo i primi - difficili - anni, ho trovato un agente letterario e, di fatto, sono uno sceneggiatore della WGA (sindacato, nonché albo degli sceneggiatori d'America).

D) Se tu dovessi fornire ad un visitatore - che non conosce le tue opere - una chiave d’accesso per la loro comprensione, cosa gli suggeriresti?

R) Suggerirei ai visitatori di dimenticare quanto visto finora, preparandosi a qualcosa di nuovo. Bisogna che si lascino cullare dalle immagini e, dopo essersene inebriati, osservare i negativi (prova tangibile di quanto rende le mie foto uniche). Vorrei che pensassero “wow” dopo essersi resi conto che, al contrario di molti lavori esposti oggi, gli effetti non sono stati "photoshoppati". Al giorno d’oggi c’è troppo ritocco, la fotografia sconfina nell’ambito della grafica e questo non mi piace. C’è una foto di cui vado molto orgoglioso, “Ghost From the Pond”, il manifesto della mostra. Come un mago, non rivelo mai i miei trucchi ma mi limito a suggerire che, sopra lo stagno, dove dovrebbe trovarsi la modella, c’è un’area più scura: quella bellissima imperfezione, ed il suo segreto, mostra che non ho ritoccato la foto al computer.

D) Devo dire che le tue modelle sono molto belle. Ti è mai scappato un complimento, o hai mai avuto una profonda empatia per qualcuna?

R) Durante il servizio fotografico? No, non direi. Sono professionale. Sono amico di molte delle mie modelle. Con altre sono in contatto (FB, in primis). La mia musa certamente è Tina Krause: è molto professionale e sa cosa vuol dire lavorare per una delle mie foto. Un mio "scatto" fotografico può richiedere fino a 35 minuti, tenendo in considerazione il tempo impiegato dalla modella per cambiarsi e quello per la preparazione del set. Non credo mi possa neppure passare per la mente di fare un complimento, in quegli istanti di panico! Sono oltremodo concentrato (spesso stressato), quando faccio una foto.

D) Sono curiosa di sapere in casa tua che fotografie ci sono.

R) Non vorrei apparire vanesio od egocentrico, ma le mie foto ricoprono le pareti della mia casa, rendendola una sorta di piccolo museo. Da cineasta/fotografo, immagino qualunque ambiente, compresa la propria casa, come un potenziale set. Non riesco ad immaginare un set più noioso di uno afflitto da delle pareti vuote.

D) Nel tuo sito fai riferimento a Rrose Selavy di Duchamp. Lui stesso racconta ad un critico d’arte: “volevo cambiare la mia identità”, e ancora “ volevo scegliere un nome ebraico, essendo cattolico questo passaggio sarebbe stato un cambiamento”. Bene, quanto è importante per te il cambio di personalità nelle tue foto? E quanto ti diverti a scegliere i titoli delle tue opere giocando con le parole?

R) Sono sempre stato negato per scegliere i titoli delle sceneggiature, ma mettere titoli alle foto mi viene molto facile. Alle volte l'origine dei titoli risiede nel luogo della foto, e la sua storia. Sono affascinato dalle diverse sfaccettature della personalità, che compongono la psiche umana. Mi interessano soggetti che possano ridere di se stessi, così come soggetti atti a sedurre se stessi e - perché no? - atti a commiserare se stessi.

D) Sempre in Rrose Selavy c’è un gioco di parole anagrammate che significa “ eros c’est la vie”: quanto è importante per te l’eros? Nelle tue foto possiamo trovare la sublimazione delle tue pulsioni più nascoste?

R) La fotografia può essere usata come canale per le proprie "pulsioni" (non credo di averne di particolarmente nascoste), ma può anche essere usata come rappresentazione ed esaltazione della bellezza umana (quella femminile cattura maggiormente la mia attenzione). Alle volte un soggetto di nudo può non avere nulla a che vedere con "pulsioni" dell'artista. Un esempio e' la foto "Exploring Sins", dove la modella, catturata in due pose, legge le Bibbia e… chiunque abbia visto la foto sa cosa succeda nella seconda posa. L'idea alla base di quella fotografia voleva essere una sorta di provocazione verso gli aspetti più risibili della Cristianità in America (pensate ai tele-predicatori) ed il conseguente bigottismo. Tutto ciò asserito: sono Cattolico praticante. Lo so: non si direbbe.

D) Adotti questa straordinaria tecnica: la pittura luce / luce spazzolatura, divertendoti a creare sempre scenari diversi. Secondo il tuo punto di vista, quale scena di film ricreeresti con la tua tecnica?

R) Sono moltissimi i film che adoro. Se dovessi scegliere un film in base alla fotografia, sicuramente sceglierei Apocalipse Now, e il suo direttore della fotografia Vittorio Storaro. Se dovessi ricreare una scena, invece farei L’ultimo imperatore di Bertolucci. Il fotogramma che sta alla base del poster del film. Meraviglioso!

D) Siamo alla fine dell’intervista: rilassiamoci. Qual è la domanda più inutile che non vuoi che ti faccia?

R) Hai usato Photoshop? (ride)

D) Ultima domanda: per la mostra tornerai a Bologna, la splendida Bologna. Se fosse una donna come l’immagineresti, e cosa gli diresti di getto?

R) Sicuramente sarebbe “La maya desnuda” di Goya. Con dei bei fianchi generosi e una venere con cui giocare molto sugli sguardi reciproci. Cosa gli direi? Quello che l’occhio non riesce a percepire.

Chiara Giglio

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