L'Officina delle Arti e della Mente
14 January 2015
Questo blog descrive gli argomenti e le tematiche dell'arte e degli artisti, i loro studi, le loro ricerche, per comunicare e sottolineare la dedizione e la passione che accompagna l'atto creativo.
Si deve valutare moltissimo l'impegno di ogni artista, sia pittore, scultore, musicista, scrittore, fumettista, ecc; l'arte come espressione della creatività, dello spirito e dell'inconscio deve emergere nella società odierna, ottenebrata da falsi miti e da comunicazioni fuorvianti.

LEONARDO DA VINCI
(1452 - 1519)
La formazione
Il personaggio più affascinante del Rinascimento nacque il 15 aprile 1452 presso il villaggio di Vinci, a sessanta miglia da Firenze.
Sua madre era una contadinella, Caterina, che non si era curata di sposare il padre del bambino. Il seduttore di Caterina, Piero d'Antonio, era un avvocato fiorentino piuttosto danaroso. Proprio nell'anno in cui nasceva Leonardo, egli sposava una donna del suo ceto e Caterina doveva accontentarsi di un marito contadino. Ella cedette il suo grazioso figlioletto a Pietro e alla moglie, cosicché Leonardo crebbe negli agi di una famiglia semiaristocratica, privo dell'affetto materno. Forse fu in quell'ambiente della sua infanzia che egli acquistò il gusto delle vesti raffinate e l'avversione per le donne.
Frequentò la scuola del vicinato, si dedicò con passione alla matematica, alla musica e al disegno, e rallegrò suo padre col canto e il suono del liuto. Per disegnare bene osservò tutte le cose della natura con curiosità, con pazienza e con cura; la scienza e l'arte, così notevolmente unite nella sua mente, avevano una sola origine: l'osservazione accurata. Quando ebbe raggiunto i quindici anni circa. il padre lo condusse nella bottega del Verrocchio a Firenze, e persuase quel versatile artista ad accettare il figlio come apprendista.
Tutto il mondo della cultura conosce la storia raccontata dal Vasari circa l'angelo dipinto da Leonardo nella parte sinistra del "Battesimo" del Verrocchio e lo stupore del maestro dinnanzi alla bellezza della figura, tanto che abbandonò la pittura per dedicarsi alla scultura. Probabilmente questa abdicazione non è che una leggenda post-mortem, dato che il Verrocchio compose altri quadri dopo il Battesimo. Forse in quel periodo di apprendistato Leonardo dipinse "L'Annunciazione" del Louvre, ove l'angelo è goffo e la Madonna ha un atteggiamento di sorpresa e di spavento. Difficilmente infatti avrebbe potuto apprendere la grazia del Verrocchio. Nel frattempo ser Piero si arricchiva, comperava molti possedimenti, trasportava la famiglia a Firenze (1469) e sposava quattro mogli, una dopo l'alt. La seconda di esse aveva appena 10 anni più di Leonardo. Quando la terza diede a Piero un figlio, Leonardo, per decongestionare la famiglia, andò a vivere con il Verrocchio. In quell'anno (1472) egli fu ammesso a far parte della compagnia di san Luca, un'associazione composta soprattutto da farmacisti, medici e artisti, acquartierata nell'ospedale di Santa Maria Nuova. Qui Leonardo trovò, con molta probabilità, l'occasione di studiare sia l'anatomia interna sia quella esterna. Forse fu lui che dipinse in quegli anni il "San Gerolamo" della Gelleria Vaticana, dal corpo scarno e dall'anatomia perfetta. E fu probabilmente lui che, verso il 1474 dipinse la policroma "Annunciazione" degli Uffizi, che denota ancora l'immaturità dell'artista. Una settimana prima che compisse ventiquattro anni, Leonardo e altri tre giovani furono chiamati davanti alla Signoria Fiorentina riunita, per rispondere dell'accusa di aver avuto rapporti omosessuali. S'ignora il risultato di tale inchiesta. Il 7 giugno 1476, l'accusa fu ripetuta, l'Assemblea fece imprigionare Leonardo per breve tempo e lo rilasciò, assolvendolo per mancanza di prove. Un anno dopo l'accusa, gli fu offerto uno studio, nei giardini Medici ed egli accettò.. Nel 1478 la Signoria stessa gli chiese di dipingere una pala d'altare nella cappella di San Bernardo, in Palazzo Vecchio. Non si sa perché egli non abbia adempito all'incarico, che fu poi preso dal Ghirlandaio; Filippino Lippi terminò l'opera di quest'ultimo. Ciononostante la Signoria diede a lui e al Botticelli un altro incarico: quello di dipingere il ritratto di due uomini impiccati per la congiura dei Pazzi contro Lorenzo e Giuliano de' Medici. Leonardo, col suo quasi morboso interesse delle deformità e delle sofferenze umane, avrà sentito certamente qualche attrazione per il macabro soggetto. In verità egli si interessava a tutto. Ogni posizione e atteggiamento del corpo umano, ogni espressione su di un volto giovane o su di un vecchio, gli organi e i movimenti degli animali e delle piante, dall'ondeggiare del grano nei campi fino al volo degli uccelli, le erosioni e gli aumenti delle montagne avvenuti attraverso i vari cicli, le correnti delle acque e lo spirare dei venti, le variazione del tempo e le gradazioni dell'atmosfera, l'inesauribile varietà dei corpi celesti, tutto ciò gli apparve di una bellezza sconfinata. Egli riempì pagine e pagine con le sue osservazioni e con i disegni riproducenti le loro forme svariate. Quando i monaci di San Scopeto gli chiesero di dipingere un quadro per la loro cappella (1481), egli fece tanti schizzi dei particolari e delle forme che si perse nei dettagli e non finì mai la "Adorazione dei Magi". Tuttavia essa rappresenta uno dei suoi quadri migliori. Il piano dal quale egli lo sviluppò era disegnato su un tracciato prospettico strettamente geometrico e tutto lo spazio restava diviso in quadrati di grandezza decrescente. Da ciò si vede che in Leonardo il matematico sempre gareggiava e spesso cooperava con l'artista. Tuttavia quest'ultimo era in pieno sviluppo come si vede nella posa e nei lineamenti della Vergine, nei Magi capiti in modo notevole (dato che si trattava di un artista molto giovane) nel carattere e nell'espressione proprie della vecchiaia e infine nel filosofo di sinistra, dall'espressione assorta di chi è immerso in una speculazione quasi scettica, come se il pittore fosse fin d'allora riuscito a vedere la narrazione evangelica con uno spirito involontariamente incredulo, e tuttavia devoto. Intorno a queste figure se ne raccolgono tante e tante altre, come se uomini e donne di tutti i generi si fossero affrettati a recarsi presso questa capanna, per cercarvi ansiosi il significato della vita e la luce del mondo, trovando la risposta in un susseguirsi di nascite. Il capolavoro incompiuto, sbiadito dal tempo, è esposto nella Galleria degli Uffizi a Firenze, ma fu Filippino Lippi che eseguì il dipinto, ordinato dai frati scopetani.
Iniziare qualcosa, concepirlo in modo troppo grandioso e perdersi negli schizzi dei particolari; vedere, oltre il soggetto, una prospettiva sconfinata di forme umane, di animali, di piante e costruzioni architettoniche, di rocce e di monti, di ruscelli, di nuvole e di alberi, il tutto avvolto in un mistico chiaroscuro; lasciarsi assorbire più dal concetto della pittura che dalla sua realizzazione tecnica; lasciare agli altri l'incarico minore di dare il colore alle figure disegnate e poste in modo da metterne in evidenza il significato; abbandonarsi alla disperazione, dopo lunghe fatiche della mente e del corpo, per l'imperfezione con cui la mano e la materia avevano dato vita a ciò che era stato sognato; questo, tranne qualche eccezione, doveva essere sino alla fine il temperamento e il destino di Leonardo.


Michelangelo
La gioventù (1475 - 1505)
Il padre di Michelangelo era Lodovico di Lionardo Buonarroti Simoni, podestà della cittadina di Caprese, sulla strada fra Arezzo e Firenze. Egli sosteneva di essere lontano parente dei conti di Canossa, uno dei quali si compiaceva di riconoscerne la consanguineità; Michelangelo si vantò sempre di avere un litro o due di sangue nobile, ma ricerche spietate hanno dimostrato che aveva torto. Nato a Caprese il 6 marzo del 1475 e battezzato, come Raffaello, col nome di un arcangelo, egli era il secondo di quattro fratelli. Fu mandato a balia vicino a una cava di marmo, a Settignano, cosicché respirò fin dalla nascita la polvere della scultura; notò più tardi che, col latte della nutrice, aveva succhiato anche scalpelli e martelli. Aveva sei mesi, quando la famiglia si trasferì a Firenze. Qui frequentò la scuola per un poco, quanto bastò per scrivere, negli anni che seguirono, dei buoni versi italiani. Non imparò il latino e non cadde mai completamente sotto l'ipnosi dell'antichità, come fu per molti artisti del suo tempo; egli fu ebraico, e non classico, più protestante in spirito, che cattolico. Preferiva disegnare piuttosto che scrivere, ciò che dopo tutto è una corruzione del disegno. Suo padre si dolse di tale preferenza, ma infine cedette e a tredici anni Michelangelo divenne apprendista da Domenico Ghirlandaio, allora l'artista più popolare di Firenze. Il contratto impegnava il giovane a restare con Domenico per tre anni "per imparare l'arte della pittura"; riceveva sei fiorini il primo anno, otto il secondo, 10 il terzo e probabilmente vitto e alloggio. Il ragazzo completò l'istruzione ricevuta dal Ghirlandaio tenendo gli occhi aperti nei suoi vagabondaggi attraverso Firenze, perché dappertutto ravvisava un oggetto d'arte. Narra il suo amico Condivi: "sicché andatosene in pescheria, considerava di che forma e colore fossero l'ale dei pesci, di che colore gli occhi e ogni altra parte, rappresentandole nel suo quadro." Era appena da un anno con il Ghirlandaio, quando, sia per inclinazione naturale sia per un caso, si dedicò alla scultura. Come molti altri studenti d'arte, aveva libero accesso ai giardini ove i Medici avevano posto le loro raccolte di sculture e di frammenti architettonici antichi. Deve aver copiato alcuni di quei marmi con un interesse e un'abilità speciali, perché, quando Lorenzo, che voleva fondare una scuola di scultura a Firenze, chiese al Ghirlandaio di mandargli alcuni studenti promettenti in quel ramo, Domenico gli diede Francesco Granacci e Michelangelo Buonarroti. Il padre del ragazzo esitò a lasciarlo passare da un'arte all'altra, perché temeva che il figlio fosse impiegato come tagliapietre, e infatti ebbe un incarico simile: squadrare il marmo per la Biblioteca Laurenziana. Ma ben presto il ragazzo eseguì delle statue. Nota in tutto il mondo è la storia del fauno di marmo di Michelangelo: egli scolpì da un pezzo di marmo, trovato per caso, la figura di un vecchio fauno; Lorenzo, passando, fece notare che difficilmente un fauno così vecchio avrebbe avuto una chiostra di denti intatta; Michelangelo rimediò all'errore con un colpo solo, togliendo un dente dalla mandibola superiore.
Compiaciuto dell'opera e delle attitudini del ragazzo, Lorenzo lo prese seco in casa sua e lo trattò come un figlio. Per due anni (1490-1492) il giovane artista visse a palazzo Medici, mangiò regolarmente alla stessa tavola di Lorenzo con Poliziano, Pico, il Ficino e il Pulci e udì i discorsi più illuminati sulla politica, sulla letteratura, sulla filosofia e sull'arte.
Lorenzo gli assegnò una buona stanza e cinque ducati al mese per le sue spese personali. Qualunque opera d'arte Michelangelo producesse, essa rimaneva sua e poteva disporne a piacere. Questi anni trascorsi a palazzo Medici avrebbero potuto essere un periodo felice dell'adolescenza, se non fosse stato per colpa di Pietro Torrigiano. Un giorno costui si offese per uno scherzo di Michelangelo e (così raccontò il Cellini) gli rispose con un cazzotto tanto violento che il naso di Michelangelo si spezzò come un biscotto, in maniera irreparabile.
E così fu. Michelangelo mostrò, per i rimanenti settantaquattro anni, un naso con il setto spezzato. E questo non addolcì il suo carattere.
In quegli stessi anni, il Savonarola predicava il suo fiero vangelo di rigida riforma. Michelangelo, allora giovanetto, andava spesso a sentirlo e non dimenticò mai quelle prediche o il gelido brivido che gli correva per le vene quando il grido irato del priore, che annunciava all'Italia corrotta la fine del mondo, lacerava il silenzio immoto del duomo affollato. Quando il Savonarola morì, qualcosa del suo spirito persistette in Michelangelo, e cioè l'orrore per la decadenza morale che lo circondava, la feroce insofferenza della tirannia e il cupo presentimento del giudizio finale.
Questi ricordi e questi timori ebbero parte nella formazione del suo carattere e nell'ispirazione dei suoi dipinti e delle sue sculture. Sdraiato sul dorso sotto il soffitto della Cappella Sistina, egli si rammentò del Savonarola e dipingendo il Giudizio Finale gli ridiede vita, tramandando le maledizioni del frate attraverso i secoli.
Nel 1492 Lorenzo morì e Michelangelo fece ritorno alla casa paterna. Continuò a scolpire e a dipingere, aggiungendo alla musa istruzione una strana esperienza. Egli compì tante dissezioni che gli si rivoltò lo stomaco e per un pò di tempo non poté toccare cibo o bevanda. Ma imparò l'anatomia. Ebbe una strana occasione di mostrare le sue cognizioni, quando Piero de' Medici gli chiese di modellare un gigantesco pupazzo di neve nel coprite del palazzo. Michelangelo accondiscese e Piero lo indusse a vivere di nuovo in casa Medici (gennaio 1494).
Verso la fine del 1494 Michelangelo fuggì attraverso gli Appennini coperti dalle nevi invernali per recarsi a Bologna. Si racconta che era stato avvisato in sogno, da un amico, dell'imminente caduta di Piero, ma forse fu il suo stesso discernimento a predirgliela. Comunque, Firenze non sarebbe stata luogo sicuro per un uomo favorito dai Medici. A Bologna studiò attentamente i bassorilievi della facciata di S. Petronio, eseguiti da Jacopo della Quercia. Ebbe l'incarico di terminare l'arca di S. Domenico e scolpì per essa un grazioso angelo porta-candelabro; allora gli scultori organizzati di Bologna gli mandarono l'avviso che se, forestiero e intruso quale era, continuava a strappare il lavoro dalle loro mani, l'avrebbero sistemato con uno o l'altro dei molti espedienti usati dagli uomini di iniziativa del Rinascimento. Frattanto il Savonarola aveva prese le redini di Firenze dove tirava ora aria di santità. Michelangelo, allora ritornò (1495). — presso Laboratorio Artistico NV ART.

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