La folie Jean Clair
16 October 2014
“Le cose (essendo cose) non andarono esattamente secondo le previsioni”. Visto che, sotto sotto, la prosa di Jean Clair sottende una religiosità, ci piaceva iniziare questa nostra piccola risposta con i Versi Satanici di Salman Rushdie.
E, d'altra parte, con Sua buona pace, le cose stanno proprio così.

Jean Clair, come puntualmente ogni sei mesi della sua e nostra vita, ha di nuovo lanciato, su Repubblica, un'invettiva contro la modernità. L'arte moderna che condanna è proprio tutta, da Duchamp a Picasso, da Manzoni ad Hirst, passando per Warhol e Koons. Perchè il mercato fa schifo, la modernità è sporca, gli artisti buttano sul pubblico le proprie secrezioni : non ci sono più gli esperti, gli storici di una volta. Ah, le icone!

Ci è venuto in mente il caro Sainte-Beuve' quando, nel 1862, dopo aver evitato in ogni modo di parlarne, tirato per i capelli, finalmente decide di scrivere un articolo su Baudelaire. E dunque, secondo un articolo di uno dei maggiori critici del tempo, ossequiato e considerato, M.B. “ha trovato un modo di costruirsi, all'estremità di una lingua di terra reputata inabitabile, al di là di ogni romanticismo conosciuto, un chiosco assai ornato, ma civettuolo e misterioso.... che da qualche tempo attira gli sguardi presso la punta estrema della KamÇakta romantica, io la chiamo la folie Baudelaire.”

Ora la Kamċakta ha invaso il mondo, con l'oppio, gli orpelli, le sue meraviglie. Il buon Clair sta costruendo il suo chiosco, fatto di buone maniere ed ottime letture, di buon gusto e tranquillità, magari davanti a un caminetto acceso col suo buon vino corposo. Un posto tranquillo illuminato bene. Il problema è: nel Mercato globale, esiste oggi una lingua di terra che ne sia fuori, luogo di selvagge icone, di cenacoli di preparati e storici pudichi, di bella pittura con corpi ripuliti e angelicati? Noi pensiamo di no.

Le cose non sono andate come voleva Jean Clair, ma per questo vanno negate?


Recuperiamo ed ampliamo un esempio di Francesco Bonami. Prendiamo tre teschi: quello di cristallo di Mitchell-Hedges del 1600 a.c., il Black Kites di Gabriel Orozco (1997) e For the love of God di Damien Hirst (2007). Sicuramente il primo sarebbe il prescelto di JC, gli altri sarebbero coinvolti nelle invettive sulla modernità. Dunque: dovremmo dedurne che l'antica civiltà mesoamericana è migliore dell'attuale? Inoltre, l'eterno divenire s'è a un certo punto interrotto diventando l'immediato immobile schifoso? Infine, essendo i due ultimi teschi lontani solo dieci anni, sono immersi nello stesso Mercato? Nello stesso di Manzoni?

Nella concezione di J.C. l'epoca d'oro è quella che gli piace. Il resto è, metastoricamente, perversione. Amando lui le icone, gli augureremmo di vivere nella Bisanzio in agonia, senza quei fastidiosi episodi della caduta dell'Impero d'Oriente su su fino alla Rivoluzione Francese.

Ci sa che alla fine ci riconosciamo in Linda Lovelace, protagonista di Gola Profonda (1972) e, forse, avendo incontrato J.C. In quegli anni gli avremmo urlato “maschio represso, masturbati nel cesso”. Certo l'esempio è volgare e ce ne scusiamo, ma le sessualità di Linda rappresenta la modernità, con i suoi luoghi del piacere spostati in gola (lì per natura, e per la prima volta parlando dell'orgasmo femminile, oggi nei modi decisi dal mercato) diversamente dalla padrona “normalità” che evita i propri umori, schifezze, come la borghesità di J.C. Secondo noi il difetto della modernità è l'opposto di quello per cui si lamenta JC. Si parla poco, e solo in maniera chic delle stimmate che il Mercato lascia sul nostro corpo. I nostri umori galleggiano o affondano nel Mercato, mutano evolvendosi o involvendosi, e la loro simbolizzazione sta nel commercio, non nella sacralità. Linda e noi, per diversi motivi, condividiamo lo shakeraggio delle nostre percezioni.

L'estetica dell'osceno non l'abbiamo inventata noi. Del nostro nudo e crudo corpo si parla da millenni, magari coprendolo con la morale dell'epoca successiva al tempo della scrittura. Chissà se la Lussuria di Brueghel (serie dei peccati capitali) in cui una coda di serpente spunta a sorpresa tra le gambe nude di una donna sarebbe piaciuta al nostro moralizzatore contemporaneo? O forse avrebbe scritto un'invettiva contro la modernità, da Dante a Brueghel? Canto XXIV, Inferno:”col piè di mezzo li avvinse la pancia/ e con li anterior le braccia prese” . Chi legga il canto da inizio a fine, compresa la minaccia eroica di violenza a Dio del sommo Peccatore, non potrebbe che goderne la volgarità e la sublimità.

L'Origine del Mondo di Courbet è il nostro simbolo e non ci vergogniamo per nulla se è arrivata ai Musei dopo aver vissuto in almeno due bagni di ricchi collezionisti.

La moneta cattiva scaccia la buona: se c'è un fondamento di dubbio tra un vero e un falso è il falso a trarne vantaggio (Guttuso in un articolo che cita JC a proposito del falso). Se tutta l'arte contemporanea è un falso, non significa che tutto il resto sia vero. Forse il contrario. Inoltre, quello che Jean Clair ama delle icone “perfezione formale e rigore iconografico” è ciò che, purtroppo, sta alla base del Mercato. Abbiamo notato, già altrove, come le mode (la differenza con le icone è che i paradigmi non si pensano eterni) impongano linguaggi, stilemi, regole visive che devono essere rispettate per non provocare la repulsione del Mercato. Non mancano le regole : sono solo decise dal Mercato. Ma “quando Raffaello dipingeva la Scuola di Atene sotto la dettatura di teologi e filosofi della corte Vaticana, era libero?” (Guttuso, articolo citato).

Vale la pena chiedersi se la critica di JC sia esterna al Mercato. In fondo la carriera, la notorietà e l'influenza del Nostro derivano proprio da queste sue posizioni. Secondo noi, semplicemente e astutamente, ha occupato un posto nell'industria culturale, arrivata a un tale livello di astrattezza da superare lo spettacolo. Di essere se stessa e anche la propria critica. Valorizzando entrambi. In fondo JC non è stato esiliato dalle grandi accademie, come Baudelaire, semplicemente ha iniziato a pubblicare nelle serie economiche per vendere di più.

Per dirla con Manu Chao, forse JC vede “too much promiscuity”, ma non si accorge che nel testo della canzone, però, fa giustamente rima con “too much hypocrisy “. le icone piangono.

Commenti 0

Inserisci commento

E' necessario effettuare il login o iscriversi per inserire il commento Login