Guardando al panorama camaleontico del nostro modo di interagire, di come la conoscenza si forma e di come si scambiano i pensieri, si nota quanto l'arte abbia svolto un ruolo cruciale all'inizio del 21° secolo nella formazione di uno spazio critico in cui la circolazione d’immagini, esperienze e informazioni può essere messa in discussione, resa controversa e raffigurata. E' in questo spazio, in cui il documento e le rappresentazioni di eventi sono sempre diffidati e quindi, ciò che è dato, è anche decostruito nella ricerca di elementi neutri d’informazione - ideologia, espressione soggettiva, e congettura.
E’ a questo grado zero della costruzione dell'immagine e delle informazioni che sia l'artista sia la censura trova il suo luogo. Allo stesso modo in cui il censore si affatica nel gestire la disposizione di questi elementi, è sempre più il compito dell'artista di individuare, esporre, e mettere in discussione queste nuove forme. In realtà è l'artista come produttore, curatore e critico, che stabilisce il punto d’osservazione unico da cui l'intervento può essere emanato.
Martha Rosler fornisce un caso esemplare di come un artista ha instancabilmente sperimentato i mezzi e i modi di critica, lo smontaggio e la produzione. In questo lavoro esaustivo Rosler documenta la costruzione di una cultura della paura e spulciando tra gli strati di documenti, ri-presenta i media in questo montaggio discorsivo come una serie d’immagini.
L'opera si apre con un articolo del filosofo conservatore Michael Levin, il quale appoggia il ricorso all’istituzionalizzazione della tortura in situazioni in cui presumibilmente si sarebbero salvate delle vite umane. Sono proposte un certo numero di situazioni ipotetiche, come ad esempio un presunto terrorista che è in custodia cautelare e in possesso di un ostaggio cittadino con un ordigno nucleare. In questo conto eccessivamente semplificato Levin sostiene che sarebbe una necessità morale per gli interrogatori usare tutti i mezzi possibili per estrarre da lui le informazioni per fermare l'attacco. L'argomento si riassume nella domanda, "salvare milioni di vite varrà la tortura di un singolo individuo?"
Nel corso del video, Rosler si propone di affrontare questa questione esponendo le sue ipotesi. Descrive la sua posizione attraverso una mescolanza tra la sua voce e una molteplicità di estratti audio presi da dibattiti e documenti. Le sue affermazioni sono accompagnate da un’esposizione d’informazioni, ritagli di giornale, articoli, testi e report che forniscono una raffica di note visive. La raccolta delle informazioni è gestita qui come un elemento tangibile, gli oggetti sono presentati uno per volta come se fossero degli elementi portati davanti alla giuria. La lettura di Rosler non solo risolve il problema etico della tortura ma presenta anche una storia concreta del suo uso nell’America Latina e altrove, togliendo la superficie igienizzata del dibattito, per rivelare gli effetti concreti di tale politica su individui e comunità.
L'opera espone l’ideologia incorporata nel flusso quotidiano d’informazioni, non che i suoi obiettivi e la sua struttura di sostegno. Il panorama dei media e le sue predisposizioni intrinseche sono discussi qui nel contesto della guerra fredda, tuttavia il video riesce a trascendere il momento storico e risuona ancora fortemente nel paesaggio post 9 / 11. Nonostante il riallineamento radicale del funzionamento della gestione e del consumo dell'informazione, la forza di tale ideologia e i molti organi che la sostengono sono ancora atrofizzati.
Le strategie in atto in questo video possono essere viste come una serie di dispositivi per "Producing Censorship" che fornisce degli strumenti per la decostruzione e la produzione di future opere.






Commenti 6
Thank you!
Gabriele
Scusate, mi è venuto naturale.
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